
Senza girarci troppo intorno: tutto ciò è assolutamente degno di un romanzo fantascientifico di tutto rispetto.
I recenti sviluppi pandemici hanno avuto un impatto senza precedenti sulle nostre vite.
Ad oggi, dopo un anno, non è difficile immaginare il vortice di incertezza e impotenza che ogni individuo ha vissuto.
I risvolti psicologico-esperienziali hanno coinvolto l’intero panorama internazionale costringendo ognuno di noi ad attivarsi, nel nostro piccolo, nella realizzazione di una nuova forma di quotidianità.
Istituzioni e servizi limitati o addirittura sospesi. Un blocco che ha suscitato in noi un certo aroma di sconfitta e inadeguatezza delle nostre capacità e risorse.
Un approccio critico ci ha visti a riformulare e riadattare obiettivi e priorità.
In tale contesto i genitori si sono trovati catapultati in una nuova forma di genitorialità.
Un nuovo modo di stare insieme, essere e percepirsi adeguatamente stabili e concreti, anche se spaventati e insicuri.
Si sono infatti modificati, lì dove possibile, i concetti di spazio, dialogo e tempo.
L’essere umano, in quanto essere vivente, ha una spinta insita in sé che lo vede prendersi cura del contesto e di ciò che lo circonda.
Così, il genitore, ha dovuto riformulare ed evolvere il concetto di cura, condividendo le sensazioni di vulnerabilità, incertezza, insicurezza e impotenza.
Una sfida senza precedenti.
Il genitore, nel gestire tale esperienza, ha acquisito nuove consapevolezze e risorse personali.
Lo stravolgimento del quotidiano, tra distanze, limitazioni e Smart Working, ha visto in prima linea i genitori attivarsi in azioni improvvisate, abbozzate.
In condizioni comuni e funzionali il rapporto con il figlio, e gli aspetti educativi, sono coordinati attraverso una collaborazione e negoziazione all’interno della coppia genitoriale.
Ma cosa succede quando gli adulti si ritrovano incerti e spaventati su come creare sicurezza e stabilità?
La condivisione di emozioni legate al clima di incertezza e vulnerabilità conferma, ancora una volta, l’idea che non esistono genitori impeccabili o famiglie perfette.
Piuttosto il genitore cresce insieme ai figli e ne apprende le proprie capacità e i propri limiti attraverso le continue rotture e riparazioni.
Abbiamo costantemente l’occasione per essere parte integrante di un cambiamento.
Proviamo ad addentrarci maggiormente nella tematica.
Il genitore, tendenzialmente in contesti piuttosto funzionali, è chiamato a rispondere a quesiti di cui, almeno parzialmente, ha una risposta. O per lo più può permettersi di immaginarne una maggiormente adeguata in base ad esperienze precedenti.
Nello specifico si tratta di un ventaglio di immagini e tematiche già presenti nella mente del genitore, o della coppia. Rappresentazioni ed esperienze appartenenti al background individuale come singoli e relazionale come coppia. Aspettative, credenze, esperienze personali e altrui azionano i movimenti di cura, protezione e benessere. Ovvero risposte, anche solo accennate e abbozzate, che richiamano in sé un senso di adeguata stabilità.
Invece in questo caso, in questa nuova esperienza, il genitore, che dovrebbe tanto richiamare in sé una percezione di sicurezza ed equilibrio, si trova a dover rispondere a domande inattese e improvvise.
La percezione del rischio, ad esempio, richiama una attitudine a difendere da eventuali compromissioni che possono potenzialmente mettere a repentaglio il proprio benessere.
Tutto sommato una spinta mossa a proteggerci da minacce esterne. Un’insieme di azioni mosse dalla consapevolezza delle proprie capacità di adattamento alle situazioni stressanti e di una vulnerabilità personale.
Si attivano flussi composti da numerose credenze e aspettative di tipo culturale, contestuale, educativo, soggettivo.
Proprio su queste, in contesto genitoriale, nel percepire il rischio si mira all’attuazione di adeguate misure precauzionali.
Non è sempre facile trasmettere ai propri figli calma e fiducia, serenità e stabilità.
Senza troppe illusioni, non è un compito facile. Soprattutto quando è la stessa figura genitoriale a doversi attivare per una riorganizzazione impensata.
Un cambio di rotta costante, fatto di prove ed errori, accompagnato da pensieri di preoccupazione sulla propria salute o quella dei propri cari, sul proprio futuro lavorativo e famigliare, con conseguente stanchezza, perdita di energie, paura e sfiducia.
Si mettono in dubbio, oltre le proprie capacità e la propria efficienza, anche i gesti e i comportamenti dei propri figli e del proprio partner.
Lo stile comunicativo assume un altro suono, un’altra forma.
La situazione, prima inimmaginabile, vede ora uno spazio e un tempo sospeso e condiviso. L’inventiva e la capacità di gioco facilita la sopravvivenza di quella quasi svanita percezione di normalità a cui tutti eravamo abituati.
Il gioco, come dimensione parzialmente distaccata dalla concreta realtà, diventa per la famiglia uno spazio in cui poter raccontare, raccontarsi e scoprirsi.
Per i più piccoli, la metafora, nella sua forma più comune delle storie e fiabe, narra di un orribile mostro che si aggira per le città.
Provando ad osservare spunti positivi di tale situazione sicuramente evidenzieremo la possibilità di vivere un rapporto genitore-figlio basato su costrutti immaginativi e fantasiosi.
Ma se vediamo l’adulto addentrarsi prontamente nel fantastico modo dell’immaginazione, cosa cosa accade nel mondo interno dei figli?
Le ripercussioni di questa situazione emergenziale non sono di poca importanza.
Assistiamo ad un vero e proprio trauma. Una frattura, nella quotidianità e nella propria consapevolezza che agisce tanto sugli adulti quanto sui bambini.
Le tensioni sono aumentate, la frustrazione e la rabbia sicuramente inficiano un corretto svolgimento e risoluzione del conflitto.
A questi si inseriscono i sensi di colpa nei confronti dei figli.
Essere genitori nel contesto covid significa addentrarsi in uno spazio digitale fatto di rapidi e costanti cambiamenti. Lo stare al passo riguarda anche il ricoprire nuovi ruoli. Ci si reinventa giullari e animatori, informatici ed educatori.
Attraverso l’esplosione della didattica a distanza, ultimamente diventata una sofferta prassi, il genitore ha provato a riscoprirsi insegnante. In un certo senso.
Diversi ruoli che sottintendono quello genitoriale ma che privano l’individuo (il genitore) di uno spazio proprio.
Il genitore nel trasformarsi ora insegnante, poi allenatore, poi animatore, e così via, rischia anche di privarsi di momenti personali e individuali che lo rappresentano.
Un senso di colpa, che corrode anche la gestione dei conflitti, mosso a percepirsi come cattivi e inadeguati genitori.
Ma sarà veramente così?
Bene. Tutto ciò è normale. Non siete cattivi genitori solo perché vi sentite sommersi dal dover rispettare le richieste di cura. Oppure non siete pessimi partner perché piuttosto che ritagliare un ulteriore tempo con la famiglia vi dedicate più a voi.
La sensazione di chiusura e di prigionia e di sentirsi irritati da figli e partner che occupano illecitamente i vostri spazi. Tutto questo è normale.
La presenza di una percezione condivisa di un clima di insicurezza permette di riconoscersi come soggetti unici e sufficientemente adeguati.
La condivisione e la comunicazione permettono di generare azioni e decisioni adeguate a garantire una forma di benessere.
Abbiamo molto da imparare dai bambini. Spesso loro non sono in grado di esplicitare le proprie emozioni. Per lo più, la loro comunicazione viaggia attraverso il loro comportamento.
Accogliere e riconoscere le proprie emozioni, significa anche saperle condividere e comunicare.
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Questo è il primo articolo!
Con queste brevi considerazioni diamo il via alla rubrica dedicata alla genitorialità.
Uno spazio in cui, con la dottoressa Manuela Vecera ne approfondiremo alcuni aspetti.
Contattate per eventuali dubbi o richieste.
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